Il primo ostacolo per la realizzazione è il nostro Ego
Quante volte hai sorriso guardando un film di Fantozzi? Scommetto tante.
Ricordiamo, ad esempio, l’esilarante capodanno organizzato dal Ragionier Filini, in cui le lancette dell’orologio venivano portate avanti, festeggiando così – tragicamente in anticipo – il nuovo anno.
L’attore che interpretava Ugo Fantozzi, noto per il suo intercalare “com’è umano lei!”, era Paolo Villaggio.
Ho visto una sua intervista del 1975, in cui affermava che la società occidentale ha fallito: viviamo in un mondo che non ci difende, che anzi spesso ignora e abbandona le persone, alla continua ricerca di una “infelice felicità”.
Le persone è per questo che si sentono vicine a Fantozzi, un personaggio molto realistico, che strappa un sorriso amaro da ormai 45 anni.
Ascoltando quell’intervista, leggendo libri di autori come Robert Wright o Ryan Holiday, parlando con alcune persone, comprendo (o ci provo) che dovremmo tutti hackerare il nostro Ego e il velo delle illusioni che crea.
Per focalizzarci su ciò che conta davvero.
È nel momento in cui cerchiamo una maggiore consapevolezza, osservando le persone con più calma, facendo meditazione, viaggiando che:
• comprendiamo che la distanza tra noi e il resto del mondo è molto meno ampia (e non parlo semplicemente del web);
• vediamo la dissoluzione dei limiti tra noi e gli altri, creando una continuità di interessi tra noi e chi ci circonda;
• chiudiamo il programma installato dalla selezione naturale nel nostro “sistema operativo”, cioè che «Io sono più importante di te».
Il nostro ego (con la e minuscola) viene messo al pari degli altri ego, a favore di un noi.
Questo, chiaramente, NON significa rifiutare tutte le spinte egoistiche, perché è necessario anche dedicarci alla cura di noi stessi.
Curare il nostro aspetto, dedicarci a un hobby o uno sport, imparare cose nuove, far crescere la nostra azienda sono attività fondamentali a garantire efficienza e armonia sociale.
Altrimenti non avremmo più mezzi ed energie per realizzarci ed essere utili agli altri. Perché più cresciamo noi (e non finiamo mai di farlo) più cresce il nostro ecosistema.
Tuttavia, quello che vedo, è che la maggior parte di noi oltre che fregarsene, vive nella superficialità illusoria che fa credere di essere “più migliori assai”, più bravi, più meritevoli, più sofferenti e incasinati.
Da un lato pensiamo di essere “già arrivati” e dall’altro non osserviamo abbastanza la sofferenza o la felicità degli altri, per tendere loro una mano, in ogni genere di situazione.
Questo approccio “human to human” è necessario per evolvere e innovare due “tecnologie” tra le più antiche e complesse mai create: esseri umani e società civile.
Forse, il giorno in cui riusciremo a trovare questo equilibrio, finalmente – come il nostro amico Fantozzi – anche noi diremo a qualcuno “Com’è umano lei!”.
Ma stavolta nel senso più consapevole ed evoluto del termine “umano”.
Ad maiora.