Smart working: la classica giornata di lavoro è finita?
La tradizionale giornata lavorativa, in ufficio per 8 ore, forse diventerà un lontano ricordo.
Sarà sostituita dallo smart working totale oppure alternato al lavoro in sede, almeno per quelle attività in cui la presenza fisica non è sempre necessaria.
A pensarlo non sono io, anche se già applico questo approccio da anni, ma Brent Hyder (Presidente e Chief People Officer di Salesforce).
L’azienda con sede a San Francisco consentirà in modo permanente, alla maggior parte dei dipendenti, di restare a casa in smart working per due o più giorni alla settimana.
La pandemia – la cui durata, nel momento in cui scrivo, è incerta – ha accelerato un processo naturale oggi irreversibile, rendendo indispensabile organizzare l’ambiente di lavoro per connettere le persone ovunque si trovino.
Ecco perché oggi, per molte aziende, non ha più senso parlare di turni consecutivi di lavoro di 8 ore, in un mondo così interconnesso, in cui servono più flessibilità ed equilibrio.
In Salesforce, ad esempio, pensano che il giusto equilibrio tra lavoro in ufficio e smart working favorisca l’innovazione e porti a risultati aziendali migliori.
Tra i lati positivi c’è l’opportunità di poter collaborare con professionisti di qualunque area geografica, gestire meglio la propria vita privata, dal rapporto con i figli alle passioni personali.
Siamo di fronte a una sfida affascinante e in rapida evoluzione, ma che presenta anche delle criticità se non gestita correttamente.
Attenzione, infatti, a non confondere lo smart working con il telelavoro.
Smart working è lavorare dove, quando, come vuoi con strumenti e approcci innovativi, che garantiscono ottime performance e migliorano la qualità della vita del lavoratore senza misurare solo le ore, ma i risultati.
Non è essere sempre reperibili o al computer ed è tutt’altro che sedentarietà, come vorrebbe dimostrare il “prototipo Susan” divulgato lo scorso anno dalla piattaforma di ricerca del lavoro DirectlyApply: imbruttita, ingobbita e obesa dopo 25 anni in casa.
Lo smart working non è banale telelavoro o schiavitù lavorativa: si lavora per vivere e avere più tempo libero, non si vive per lavorare. È la base di un approccio intelligente.
Purtroppo questo momento storico ha scoperchiato, in un attimo, l’arretratezza digitale e imprenditoriale del nostro Paese: ancora oggi, troppe persone non capiscono come sfruttare la Rete in modo produttivo e che la vita online è vita reale, vissuta in maniera agile grazie alla tecnologia.
Il web rappresenta muscoli, sistema nervoso, ossa della nostra società, è il cuore che dà energia al mondo del lavoro, alla formazione, alla salute e anche all’amore, perché ci connette con le persone care che sono distanti.
C’è molto lavoro per rendere il nostro un Paese da “serie A digitale” ma so che, sfruttando la consapevolezza nata durante questi mesi in molte persone, potremo velocizzare la crescita.
Qual è il tuo pensiero a riguardo e come stai vivendo questo periodo?
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